P.d.L. n.
162 - "Testo Unico della normativa regionale della Regione
Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione
professionale e occupazione".
PARERE
OBBLIGATORIO
1.
Il Consiglio delle autonomie locali, come già più
volte ha espresso in varie sedi, condivide l'indirizzo di politica
legislativa volto a riunificare in testi unici le normative che
riguardano i diversi settori omogenei ed a razionalizzare i relativi
atti di programmazione. Questo indirizzo si pone, del resto, in
piena armonia con il processo di attuazione del nuovo Titolo V della
Costituzione che impone un complessivo adeguamento delle diverse
normative statali e regionali attualmente vigenti ed offre quindi
il più adeguato contesto alla necessaria opera di riassetto
normativo.
E' quindi essenziale che questi due elementi, la razionalizzazione
normativa e l'attuazione del Titolo V, procedano insieme. E nell'attuazione
del Titolo V all'interno dell'ordinamento regionale, un ruolo di
primo piano è costituito dal rispetto delle innovate prerogative
degli enti locali in termini di competenze, di potere regolamentare,
ed anche di partecipazione consultiva, tramite il Consiglio delle
autonomie locali, al processo decisionale della Regione.
Sulla base di queste considerazioni e per le motivazioni di seguito
specificate, questo Consiglio esprime pertanto parere negativo in
ordine alla presente proposta di legge, così come attualmente
formulata, malgrado che essa sia ispirata al positivo indirizzo
di fondo sopra richiamato.
2.
In primo luogo si osserva criticamente che l'ampiezza della delegificazione
realizzata, attribuendo ad un regolamento di Giunta la disciplina
sostanziale della quasi totalità delle varie materie, incide
in maniera marcata sulla forma di governo regionale e conseguentemente
esclude di fatto l'intervento del Consiglio delle autonomie locali
su tutte le materie rinviate al suddetto regolamento, in sostanza
spogliando questo organismo, che ha rilievo costituzionale, del
potere di pronunciarsi su un complesso vasto e significativo di
ambiti funzionali direttamente incidenti sulle competenze degli
enti locali.
Appare infatti del tutto improprio definire, come viceversa ricorre
nel testo, questo regolamento come un regolamento "di esecuzione".
Siamo infatti in presenza di un regolamento amplissimamente "delegato"
e con una delega sostanzialmente in bianco, essendo estremamente
generici se non insussistenti principi ed indirizzi che orientino
e condizionino questa potestà regolamentare. Tanto che le
numerose abrogazioni di leggi regionali di settore attualmente vigenti
vengono fatte decorrere dal momento dell'entrata in vigore non già
della legge ma del regolamento stesso, che costituisce la vera fonte
normativa alla quale è affidata la disciplina sostanziale
di tutto il settore.
La questione offre lo spunto per ribadire che in un assetto consolidato
e definitivo i regolamenti regionali direttamente attinenti alle
competenze degli enti locali, quale che sia l'organo preposto alla
loro emanazione, devono essere sottoposti al necessario esame del
Consiglio delle autonomie locali, che altrimenti vedrebbe di fatto
eluso il proprio ruolo, costituzionalmente affermato, su aspetti
decisivi incidenti sull'esercizio delle attribuzioni degli enti
locali. A questo proposito le stesse associazioni delle autonomie
locali hanno in varie occasioni espresso l'avviso che tale competenza
del CdAL debba essere formalmente sancita all'interno dello statuto
regionale, attualmente in corso di revisione.
Si osserva inoltre che il principio di delegificazione, cui questa
proposta si richiama, è stato sostenuto al fine di realizzare
una semplificazione a favore del cittadino e non già per
rafforzare l'esecutivo e per diminuire la complessità del
processo decisionale democratico. In questo caso, invece, diminuendo
di molto il ruolo dei consigli regionali e degli enti locali, si
produrrebbe un restringimento dei canali di accesso alle procedure
decisionali da parte dei cittadini e quindi un loro allontanamento
ulteriore dalle norme.
3.
Per quanto attiene ai profili procedurali, si rileva altresì
che la procedura di approvazione del regolamento prevede un mero
"sentiti gli Enti locali", cosa ben diversa sia dall'espressione
di un parere obbligatorio, come nel caso di intervento del CdAL,
sia anche da una procedura concertativa retta da specifici rapporti
anche di carattere formale che implica una reciproca ricerca di
accordo e di valutazione delle rispettive istanze.
Inoltre, non è assolutamente chiaro come si rapporti il "Comitato
di coordinamento istituzionale" di cui all'art. 24 con il Consiglio
delle autonomie locali, che, come già sottolineato, è
previsto dall'art.123 della Costituzione quale organo di consultazione
fra la Regione egli enti locali.
4.
Il tema fondamentale del rapporto tra regolamento regionale e regolamenti
degli enti locali nelle materie di loro competenza è risolto
dalla proposta in esame sulla base di un positivo principio di cedevolezza
delle disposizioni del regolamento regionale non dichiarate espressamente
inderogabili rispetto alle sopravvenute disposizioni dei regolamenti
comunali.
Tale soluzione, pur potendo dare adito a delicati problemi in sede
applicativa rispetto all'esigenza di rendere certo il diritto per
i cittadini, può infatti ritenersi legittima per analogia
a principi affermati anche dalla Corte Costituzionale relativamente
al rapporto fra legge statale e regionale.
Tuttavia sorge qui un rilevante problema in quanto la PdL rimette
allo stesso regolamento regionale la possibilità di dichiarare
alcune sue parti inderogabili per i regolamenti comunali.
Si osserva al riguardo che rinviare allo stesso regolamento regionale
l'individuazione dell'ambito della propria inderogabilità
suscita rilevanti dubbi attinenti alla legittimità e inoltre
non offre agli enti locali alcuna garanzia di rispetto sostanziale
della propria sfera di competenza, tanto più in presenza
di un così ampio ed indistinto rinvio di tutta la disciplina
sostanziale al regolamento regionale. Si osserva anche, a questo
riguardo, che la definitiva stesura della proposta di legge non
ha tenuto minimamente conto della richiesta, già avanzata
dai rappresentanti degli enti locali in sede di concertazione, di
ridurre e circoscrivere l'area e le materie di competenza regolamentare
al fine di rendere più netta la demarcazione tra le diverse
sfere di competenza e limitare la possibilità di conflitti
tra le fonti regionali e quelle locali, conflitti che invece risultano
molto probabili ed evidenti in base alla attuale formulazione dei
contenuti rinviati al il regolamento regionale.
Si ritiene pertanto che debba essere la legge stessa ad indicare
i principi e le disposizioni generali della materia oltre, eventualmente,
alcune specifiche parti di detti principi e disposizioni da rinviare
in modo inderogabile al regolamento regionale, fermo restando che
la legge potrà dichiarare inderogabili i punti recanti norme
generali ma non certo la parte contenente disposizioni di dettaglio
ed attinente all'organizzazione e svolgimento delle funzioni attribuite
agli enti locali, cioè all'ambito che la Costituzione assegna
alla competenza locale (art.117 comma 6 Cost.).
5.
Nel testo non ricorre alcun riferimento alla programmazione locale
nonostante che questa costituisca, alla luce dei principi della
legge regionale n.49/1999, uno snodo essenziale sia per la definizione
degli strumenti programmatici regionali, sia per la concreta attuazione
degli stessi.
Se è vero che il Piano di indirizzo generale integrato (di
cui all'art.31 della proposta in esame) assume come riferimento
il PRS e gli aggiornamenti annuali allo stesso realizzati tramite
il DPEF, si osserva tuttavia che la norma non prescrive affatto
il coinvolgimento degli Enti locali nella procedura di approvazione
del Piano stesso. Un simile coinvolgimento non è infatti
da considerarsi implicito né nel generico richiamo alla citata
LR n. 49, né nell'altrettanto generica enunciazione (art.29)
per cui le Province concorrono alla definizione degli indirizzi
e degli obiettivi della programmazione regionale.
6.
Come richiamato in precedenza, il T.U. dispone l'abrogazione delle
attuali leggi regionali di settore. Ciò comporta conseguentemente
il venir meno di numerosi atti e procedure, da tali leggi espressamente
previsti, i cui contenuti dovranno presumibilmente confluire nel
citato Piano di indirizzo generale integrato o nel regolamento.
Poiché, a differenza delle singole leggi regionali, il T.U.,
come sopra evidenziato, non specifica quale sia la procedura di
adozione del Piano, non è agevole comprendere se ed in che
misura gli enti locali possano mantenere gli attuali livelli di
partecipazione previsti dalle leggi da abrogare ed anzi opportunamente
incrementarli in conformità ai loro accresciuti ambiti di
competenza.
Si tenga presente che l'elenco delle materie coinvolte in tale riassetto
è lungo e corposo, ricomprendendo gli interventi educativi
per la prima infanzia; l'istruzione e il diritto allo studio; il
diritto allo studio universitario; l'orientamento professionale;
la formazione professionale; il sistema regionale per l'impiego
e le politiche del lavoro; l'educazione non formale; col che si
evidenzia efficacemente l'ampiezza della questione e le rilevanti
problematiche connesse in termini di rapporti tra regione ed enti
locali.
7.
Occorre avanzare una osservazione critica anche per quanto concerne
il riparto delle competenze, pur con la premessa che la proposta
di legge individua in generale in termini corretti le funzioni proprie
dei diversi livelli di governo (artt.28, 29 e 30).
Tuttavia, nell'indicare i compiti riservati alla Regione, il T.U.
attribuisce ad essa, senza alcuna ulteriore specificazione, anche
la competenza a definire "gli ambiti territoriali di riferimento"
del "sistema allargato dell'offerta integrata fra istruzione,
educazione e formazione".
Questa disposizione appare in contrasto con i principi generali
assunti dalla Regione Toscana in attuazione della legge "Bassanini"
e del d.lgs. n.112, che prevedono che la definizione degli ambiti
ottimali di esercizio delle funzioni costituisca il risultato di
una procedura concertativa, alla quale il presente T.U. non fa invece
riferimento.
8.
Sempre in tema di competenze, una specifica considerazione, di particolare
rilievo e sulla quale si richiama pertanto l'attenzione degli organi
regionali, deve essere svolta in ordine alla questione delle Aziende
per il diritto allo studio universitario.
Il testo unico in esame si limita, a questo riguardo, a riproporre
l'istituzione di tre aziende regionali, con personalità giuridica
ed autonomia amministrativa e gestionale, aventi sede legale nei
Comuni sedi delle Università di Firenze, Pisa e Siena.
Non è in alcun modo individuato, né altrimenti indicato
nella stringatissima relazione di accompagnamento alla proposta
di legge, quale sia l'interesse unitario di carattere regionale
che giustifica e motiva, all'indomani della vigenza del novellato
Titolo V della Costituzione, il mantenimento in capo alla Regione
di una così ampia funzione gestionale di servizi all'utenza,
in deroga al principio per cui tutte le funzioni amministrative
spettano in via generale ai Comuni salvo, appunto, il ricorrere
di uno specifico ed individuato interesse unitario che imponga,
in via eccezionale, che l'esercizio di una determinata funzione
sia riferito ad un più ampio ambito territoriale.
Ora, in questo caso, non solo non è rilevato l'interesse
unitario che è a fondamento di questa attribuzione di competenza
né è stata attivata con gli enti locali alcuna specifica
procedura d'intesa volta a tal fine, ma si può all'opposto
ritenere che proprio la stessa proposta di legge attesti invece
l'assenza di detta esigenza unitaria nel momento stesso in cui prevede
la costituzione sul territorio regionale di tre Aziende distinte
ed autonome, ognuna delle quali è destinata ad operare nella
propria sede locale.
Non sembra pertanto sussistere alcuna motivazione per la quale tali
aziende debbano rimanere attribuite alla sfera di competenza regionale
anziché essere correttamente rimesse a quella dei Comuni
interessati.
9.
Si segnala infine che nelle consultazioni e nel dibattito che hanno
preceduto la definizione del presente parere sono stati proposte
le seguenti specifiche tracce di emendamenti, volte ad assumere
come criterio guida per il perseguimento dell'obbligo formativo
all'interno dell'ordinamento regionale una molteplicità di
canali formativi che veda, accanto alla scuola, anche la formazione
professionale biennale fino alla qualifica e l'apprendistato.
Ipotesi
di formulazione dell'art.13:
"Art.13-Obbligo
formativo
Al fine di dare attuazione alle attività relative all'assolvimento
dell'obbligo formativo nel sistema di istruzione scolastica, della
formazione professionale e dell'apprendistato, così come
previsto dall'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n.144 (Misure
in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli
incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL,
nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali),
nonché dall'accordo del 2 marzo 2000 della Conferenza unificata
ex art.8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n.281, avente per oggetto: "Accordo
tra Governo, regioni, comuni e comunità montane in materia
di obbligo di frequenza delle attività formative in attuazione
dell'articolo 68 della legge 17 maggio 1999, n.144", la Regione
promuove e sostiene l'offerta qualitativamente e quantitativamente
adeguata di percorsi formativi nell'ambito della formazione professionale
e dell'apprendistato a completamento dei percorsi nell'ambito dell'istruzione.
Favorisce altresì tutte le opportunità di integrazione
e personalizzazione che si rendono necessarie al fine di garantire
il diritto al successo formativo previsto dalla legge."
Ipotesi
di integrazione dell'art. 17:
Al
quarto comma dell'art.17, dopo le parole "
ivi compresi
gli istituti scolastici e le Università" aggiungere
"fatto salvo quanto previsto dal comma successivo."
Il
comma cinque dell'art.17 diventa:
"5. In sede di definizione dell'accreditamentio delle Agenzie
Formative, per le attività relative all'obbligo formativo
saranno definiti criteri coerenti con le finalità eminentemente
educative specifiche della formazione per questa fascia di età."
L'originario
comma 5 diventa il comma 6.
Il
comma 6 diventa il comma 7.
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